giovedì 21 maggio 2009

UN UOMO CHE NON SI PUO' NON CONOSCERE

Roberto Benigni:

'Così ho scoperto che la vita è bella'

Roberto Benigni si racconta  'Così ho scoperto che la vita è bella'

Roberto Benigni

"THANK YOU, thank you. This is a moment of joy, and I want to kiss everybody..." suonarono le prime parole del discorso di Roberto Benigni a Los Angeles, la notte del 21 marzo 1999, dieci anni fa, alla consegna dell'Oscar per il miglior film straniero attribuito al suo La vita è bella (uno dei tre Oscar riservati al film, assieme a quelli conferiti a Benigni stesso come migliore attore, e a Nicola Piovani per la colonna sonora).
E "Così discesi del cerchio primaio/ giù nel secondo, che men loco cinghia/ e tanto più dolor, che punge a guaio" suoneranno le parole iniziali dell'attore quando il 5 aprile prossimo, in scena a Londra, interpreterà la terzina d'avvio del quinto canto dell'Inferno della Divina Commedia, che è la partitura-guida del suo TuttoDante con tour mondiale già avviato e calendario fittamente disposto, in c ontinua espansione, fino a giugno. Allora, all'Oscar, si fece prendere da un impeto di baci, ma anche adesso si fa cantore del cerchio dei Lussuriosi culminante col bacio grazie a cui Paolo infiamma i sensi di Francesca.
Sia che rilegga l'Olocausto dirigendo e recitando una storia scritta con Vincenzo Cerami, sia che rilegga Dante dicendolo a memoria come un commediante dell'arte, Benigni è sempre un artista che inquieta col fisico, è sempre un comico munito di sghignazzo epidermico, è sempre un uomo di spettacolo che necessita di effusioni, è e resterà sempre uno che scherza carnalmente, guancia a guancia, marcando stretto con le labbra.
In questo senso l'Oscar di dieci anni fa, al di là delle argomentazioni caute o scettiche degli intellettuali e delle personalità che si ergevano a depositarie dell'austerità tragica della Shoah, fu un superbo riconoscimento all'universalità della poesia del corpo di Benigni, alla sua poetica verbale, all'intuizi one di un lirismo paterno, all'ideale di un'esistenza sentita come la sentì Primo Levi in Se questo è un uomo: "Pensavo che la vita fuori era bella e che avrebbe continuato a essere bella".
E rovistando tra i suoi appunti gelosi - ottenuti solo dopo tenaci e infinite richieste perché lui non ama le autocelebrazioni e non indulge negli sguardi all'indietro - trascrivendo le sue note preparatorie del film, note quasi indecifrabili tanto la calligrafia di Benigni supera in vaghezza quella di certe ricette mediche, balza evidente come anche proprio una certa sua poesia bambina, quella caratterizzante i toni e i temi della fantasiosa e compagnona traduzione a braccio degli indottrinamenti nazisti nel lager, costituisca un linguaggio tragicomico incline a mimetizzare la morte con l'amore, con l'arguzia, col ridicolo.
"Si vince a mille pu nti, il primo classificato vince un carro armato... perdono punti quelli che si mettono a piangere, che vogliono vedere la mamma, che hanno fame e che vogliono la merendina" anziché il tenore minaccioso di un caporale da anticamera delle camere a gas. Battute a base di lecca lecca che aprirono i cuori. E l'onda benigna e benignana si sparse in tutto il mondo, se è vero che la Somalia giunse a coniare al volo nello stesso 1999 una moneta con la sua effigie di Oscar Winner.
Ma l'internazionalità di Benigni - casualmente o no a distanza d'un decennio da quel trionfo che autorizzò un confronto con Lawrence Olivier, riuscito nel 1948 a dirigere se stesso in un'interpretazione da Oscar - testimoniata oggi da una tournée teatrale cosmopolita, è qualcosa che fa anche storia a sé, con precedenti paralleli che risalgono agli anni a cavallo tra i due secoli.
La sua comicità pro rompente s'era messa al servizio di Dante già nel 1991 all'Università di Siena ("dicendo" e non leggendo il quinto e l'ottavo canto dell'Inferno), perché in Toscana c'è vanto di sapere a memoria i versi della Commedia e il padre lo buttava sui palcoscenici a improvvisare coi poeti d'ottave (noi assistemmo anni e anni fa a una sua strepitosa gara a forza di versi improvvisati a Volterra).
E le sue lecturae Dantis, cresciute a Pisa, Roma, Padova e Bologna, ebbero una puntata propedeutica nel gennaio 1999 all'Università di Los Angeles. E tutta la sua struttura anatomica che impresta suoni, gorgoglii e onomatopee a Dante ecco che sconfina nel 2003 al Simphony Center di Chicago, e nel 2006 nell'anfiteatro romano di Patrasso. Finché nasce la mega-impresa TuttoDante in piazza Santa Croce a Firenze, con tredici canti, uno per sera, tournée italiana in quarantotto città, e messa in onda su RaiUno, operazione da cui scaturisce a sua volta lo spettacolo attuale incentrato sul quinto canto dell'Inferno.
Ma ciò che più mi affascina di quest'uomo è stata una delle sua meravigliose creature:

La vita è bella

Fine anni Trenta: due giovani di belle speranze lasciano le campagne per recarsi in città. Guido, estroverso e spensierato, vuole aprire una libreria nel centro del paese, mentre Ferruccio è tappezziere e, a tempo perso, poeta di versi sagaci. Guido trova un impiego come cameriere presso il Grand Hotel, Ferruccio si adatta a fare il commesso in un piccolo negozio di stoffe.
Durante le divertenti scorribande dei due in città, Guido conosce una maestrina e se innamora. Dora è timida e vive costretta in un ambiente borghese, fidanzata con un vecchio compagno di scuola del quale, però, non è più innamorata. Per conquistarla, Guido le tenta tutte: dal travestimento come isp
ettore scolastico, ad un breve rapimento con la sua Balilla. Il giovane, però, ignora che Dora sia sul punto di sposarsi. Lo scoprirà nel peggiore dei modi: proprio al Grand Hotel, infatti, con un sontuoso ricevimento si annunciano le nozze imminenti. Guido è disperato, ma non si perde d'animo e riesce a trascinare via Dora.
Qualche anno più tardi, Guido e Dora sono felici, sposati e con un figlio, Giosuè, di cinque anni. Guido ha finalmente aperto in centro la sua libreria, ma non ha molti clienti; la guerra imperversa e, con essa, arrivano le leggi razziali contro gli ebrei. Dora e Guido tentano in tutti i modi di tenere

Giosuè lontano dai dolori bellici: Guido ha origini ebraiche, incombe su di lui la minaccia dell'antisemitis

mo, ma egli inventa sempre nuove favole per il figlio, perché non si avveda della realtà. Un giorno, l'inevitabile arriva: la famiglia viene deportata,Guido e Giosuè divisi da Dora.

Nell campo di concentramento, Guido persiste a raccontare al figlio la sua versione della vita, la favola. La vita al campo è spietata, ma Guido la racconta quasi fosse un gioco, che ha come premio un vero carro armato. Ogni evento - il campo di concentramento, la morte, gli omicidi - viene trasformato in qualcos'altro, ma l'unico scopo è salvaguardare Giosuè dalle brutture della situazione. Giosuè sopravvive, grazie al padre, ai suoi sforzi ed alla sua allegria. La guerra finisce, si è portata via Guido, ma almeno Dora può riabbracciare il figlio.

Uscì nelle sale cinematografiche italiane il 19 dicembre 1997 e fu un grandissimo successo, incassando ben 46 miliardi di lire. Si tratta tuttora del film che ha avuto più spettatori in Italia.Uscì negli USA nel settembre 1998, in un'edizione mutilata di 9 minuti, con alcuni tagli e l'eliminazione del personaggio di Lydia Alfonsi. Incassò 57 milioni di dollari e fu accolto entusiasticamente da numerosi critici americani.Il 23 agosto 1999 uscì sempre in America un'edizione doppiata in inglese, ma questa versione si rivelò un fallimento.Il 10 gennaio 1999 il Papa Giovanni Paolo II ha visionato il film in una proiezione privata assieme a Roberto Benigni. Benigni ha dichiarato come, raccontando alla madre l'avvenimento, lei non gli abbia mai creduto.Durante la cerimonia degli Oscar del 21 marzo 1999 ha ricevuto inaspettatamente ben 3 statuette su 7 nomination, come Miglior Attore, Miglior Colonna Sonora e Miglior film straniero.
L'attrice Sophia Loren consegnò a Benigni la 1° statuetta ed egli, dalla felicità, balzò sulle poltrone degli spettatori ed in uno stentato inglese divertì il pubblico americano, compreso il regista Steven Spielberg.A Roma salutò l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro stringendogli la mano ed esclamando Ho l'Oscar nelle mie mani!.Ricevette comunque oltre 40 premi internazionali, tra cui 5 Nastri d'argento, 9 David di Donatello, il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes dove Benigni si inginocchiò davanti a Martin Scorsese, ed un premio medaglia a Gerusalemme.Quando il film fu trasmesso in TV per la prima volta da Rai Uno il 22 ottobre 2001, ebbe un notevole dato d'ascolto, ben 16.080.000 di telespettatori; in assoluto il dato d'ascolto più alto per un film nella televisione italiana, battendo il precedente record d'ascolto di 14.672.000 telespettatori del film Il nome della rosa, che resisteva dal 1988.Dopo questo film Benigni si lanciò in una produzione franco-italiana: Asterix e Obelix contro Cesare, nel ruolo del generale romano Detritus.Al contrario dei precedenti film di Benigni, che sono stati sempre trattati in maniera controversa, questo fu un successo di critica.Morando Morandini: 6° film di Benigni regista è il più difficile, rischioso e il migliore, 2 film in 1, ovvero un film in due parti, nettamente separate per ambientazione, tono, luce e colori. La 1° spiega e giustifica la 2°, una bella storia d'amore, prima tra un uomo e una donna, poi per un figlio, ma l'una è la continuazione dell'altra. Il frenetico dinamismo di Benigni è felicemente sfogato la sua torrentizia oralità ora debordante, ora dimezzata. Un'elegante leggerezza distingue G. Durano nel più riuscito dei personaggi di contorno.[3]


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